Indice
1. Introduzione: la posta in gioco
Nel contesto delle controversie familiari, specie in caso di separazione o divorzio, uno degli scenari più delicati riguarda le accuse di “alienazione parentale”. Talvolta un genitore viene accusato dall’altro di manipolare la volontà del figlio, ostacolando il rapporto con l’altro genitore. Tali accuse possono condurre a provvedimenti draconiani: decadenza della responsabilità genitoriale, limitazioni dei diritti di visita, persino allontanamento del minore.
Ma la Corte di Cassazione – negli ultimi anni – ha assunto un orientamento netto: non è più accettabile che si fondino decisioni drastiche su teorie psico-diagnostiche (come la cosiddetta “sindrome da alienazione parentale”) prive di sufficiente fondamento scientifico. Al centro del ragionamento, sempre, deve esserci il superiore interesse del minore.
In questo articolo esamineremo come la Cassazione si è pronunciata, quali sono i limiti giuridici dell’alienazione parentale, e come un avvocato di diritto di famiglia può agire a tutela del minore e del genitore.
2. Che cosa si intende per “alienazione parentale”
Il termine “alienazione parentale” (o “alienazione genitoriale”) è usato per descrivere situazioni in cui un figlio rifiuta di avere contatti con un genitore, in ragione di condizionamenti esercitati da chi detiene la sua custodia o da dinamiche conflittuali. Talvolta si richiama la cosiddetta sindrome di alienazione parentale (PAS), coniato in ambito psichiatrico, secondo la quale il genitore “alienante” realizzerebbe una manipolazione psicologica del figlio contro l’altro genitore.
Tuttavia, questa “sindrome” non è riconosciuta attualmente come disturbo ufficiale nei manuali diagnostici (DSM o ICD) e l’applicabilità del concetto è fortemente dibattuta nella comunità scientifica.
Soprattutto, la Cassazione ha più volte precisato che non è possibile fondare provvedimenti giudiziari gravosi sulla sola diagnosi di PAS, senza un accertamento fattuale concreto.
In altre parole: non basta dire che “il genitore ha alienato” — occorre provare i comportamenti specifici che lo rendono responsabile.
3. Evoluzione giurisprudenziale della Cassazione
Negli ultimi anni la Cassazione ha assunto una posizione sempre più netta:
In sintesi, il filo conduttore dell’evoluzione giurisprudenziale è la progressiva esclusione della diagnosi di alienazione come base sufficiente per decisioni che incidono sulla relazione con il minore.
4. Principi normativi rilevanti
Per un avvocato di diritto di famiglia è essenziale ricordare i principali riferimenti normativi:
Questi principi normativi costituiscono il quadro entro cui deve muoversi il giudice e l’avvocato.
5. Il ruolo del giudice e gli strumenti di accertamento
Il dovere di accertamento concreto
Il giudice non può basarsi su teorie astratte o su diagnosi psico-teoriche prive di fondamento: deve valutare i comportamenti accertati, usando i mezzi probatori propri del processo (teste, documenti, presunzioni, intercettazioni, consulenze tecniche, relazioni dei servizi sociali).
Se emerge una diagnosi espressa in una CTU, il giudice può tenerne conto per comprendere il quadro, ma non può da sola fondare su di essa un provvedimento restrittivo.
Ascolto del minore
L’ascolto del minore è obbligatorio nelle controversie che lo riguardano (salvo casi eccezionali), ma non può essere l’unico criterio decisivo. Il giudice deve dare ragionevoli motivazioni se non lo adotta direttamente o lo ritiene non indicativo.
In situazioni di conflitto intenso, come in casi sospetti di alienazione, l’ascolto va coordinato con gli altri elementi probatori.
Bilanciamento e proporzionalità
Ogni misura restrittiva (come la limitazione del diritto di visita, la decadenza o l’allontanamento del minore) deve essere proporzionata e motivata in relazione al pericolo concreto che si intende prevenire. Il giudice deve valutare anche vie alternative meno invasive.
Motivazione adeguata
Il provvedimento del giudice deve spiegare in modo chiaro e razionale perché sono state ritenute provate le condotte e perché le misure adottate sono necessarie, e deve rispondere alle censure delle parti. In caso contrario, in sede di cassazione il vizio motivazionale può essere decisivo.
6. Limiti del “rifiuto del minore”
Occorre distinguere con cura tra:
In altri termini: non sempre il rifiuto va “superato” forzatamente. Se emergono elementi che suggeriscono che il rifiuto non sia libero (ma condizionato), allora il giudice dovrà intervenire, ma sempre con prudenza e misura.
La sentenza Cass. sezione I, ordinanza n. 21969/2024 ha stabilito che «il rifiuto consapevole e motivato del minore a incontrare un genitore costituisce un limite invalicabile al diritto di visita».
Questo non significa che il genitore escluso rimanga senza rimedio: il giudice può intervenire per accertare le cause e favorire eventualmente un percorso di avvicinamento graduale, se compatibile con l’equilibrio del minore.
7. Quali tutele e strategie difensive
Da avvocato di diritto di famiglia, in casi che presentano elementi riconducibili ad una presunta alienazione parentale, è possibile adottare diverse strategie:
In tutti i passaggi, il filo conduttore deve essere la tutela del minore, non la demonizzazione dell’altro genitore.
8. Conclusione: il benessere del minore come stella polare
La Cassazione ha ormai compiuto un vero e proprio “giro di boa” rispetto alle vecchie pratiche che facevano appello alla sindrome di alienazione parentale come chiave magica per giustificare provvedimenti drastici. Oggi il messaggio è chiaro: non si può sacrificare il minore sull’altare di un’ipotesi diagnostica astratta.
In ogni controversia familiare, il principio guida deve essere il superiore interesse del minore (art. 315-bis c.c.), declinato in concreto in riferimento alle sue condizioni affettive, psicologiche, ambientali. Nessuna misura restrittiva può valere se non è adeguatamente motivata, proporzionata e sorretta da elementi di prova validi.
Come avvocato del diritto di famiglia, è importante contribuire a far emergere fatti, garantire l’ascolto del minore, predisporre percorsi di tutela e mediazione, e contestare criteri decisionali che siano distanti dall’orizzonte del benessere del minore.
Avv. Giuseppina Menafra